Opposizione a decreto ingiuntivo – nullità della citazione – motivo irrilevante e suggestivo

Ancora un’importante vittoria del nostro Studio davanti la Suprema Corte di Cassazione.

FATTI DI CAUSA

  1. M.G. ottenne dal Tribunale di Milano l’emissione di un decreto ingiuntivo per la somma di Euro 1.033.000 nei confronti delle tre sorelle, sulla premessa che quella somma costituiva il corrispettivo del debito ereditario, da dividere in tre quote, gravante sulle medesime per la gestione, da parte del ricorrente, del patrimonio immobiliare della defunta madre, attività da lui svolta dal 1977 fino al 2005.

Ai fini che interessano in questa sede, il decreto fu opposto da una delle sorelle (assistita dallo Studio Legale Capodiferro & Primi) e nel giudizio l’opposto MG rimase contumace. Il Tribunale, in assenza del fascicolo monitorio dell’opposto, accolse l’opposizione e revocò – nei limiti della quota parziaria dell’opponente, e quindi per la somma di Euro 334.616,13 – il decreto ingiuntivo, condannando l’opposto MG alle spese di lite.

  1. La pronuncia è stata impugnata da M.G. e la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 4 marzo 2014, ha dichiarato la nullità dell’atto di citazione in opposizione e dell’intero giudizio di primo grado, ivi compresa la sentenza; quindi, decidendo il merito della causa, ha revocato il decreto ingiuntivo, ha rigettato tutte le domande di M.G. e l’ha condannato al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ha osservato la Corte d’Appello, in rito, che l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo proposto da una delle sorelle era nullo per mancata indicazione della data dell’udienza di comparizione sulla copia notificata all’opposto; tale nullità, se conduceva alla nullità dell’intero giudizio di primo grado, sentenza compresa, era tuttavia da ritenere sanata tramite la proposizione, da parte del creditore opposto (MG), dell’atto di appello; Continue reading “Opposizione a decreto ingiuntivo – nullità della citazione – motivo irrilevante e suggestivo”

Il lavoratore cambia tragitto e si fa male: no all’infortunio in itinere

Con la sentenza 2642/2012 – depositata il 22/02/2012 – la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha escluso l’indennizzo del danno patito da un dipendente a seguito di un infortunio che lo stesso aveva subito a causa di un incidente stradale, che lo aveva visto protagonista sulla strada di ritorno dal luogo di lavoro alla propria abitazione.
Nel caso di specie, il dipendente, aveva chiesto ed ottenuto un permesso orario retribuito al fine di rientrare a casa in anticipo per il pranzo, anziché rientrare in azienda, successivamente all’effettuazione di una visita medica presso l’ASL locale richiesta dal datore di lavoro.
La domanda di indennizzo del danno subito veniva accolta in primo grado, ma la sentenza veniva riformata in secondo grado.
Infatti, secondo la Corte d’Appello, la scelta del dipendente di fare ritorno alla propria abitazione, invece di ritornare in azienda, così modificando il tragitto che lo avrebbe ricondotto dalla ASL sul luogo di lavoro, era idonea ad integrare una circostanza idonea ad interrompere il nesso causale tra il suo tragitto verso la propria abitazione e l’occasione di lavoro.
Le ore di permesso fruite dal lavoratore successivamente all’effettuazione della visita medica, gli avevano consentito di compiere in tale intervallo di tempo un’attività non connessa con lo svolgimento della propria attività lavorativa.
Conseguentemente, le ore successive alla visita presso la ASL non erano da considerare in connessione con l’attività lavorativa, diversamente dal tempo antecedente all’effettuazione degli accertamenti sanitari.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, adita dal lavoratore, con la citata sentenza, nel confermare il ragionamento logico-giuridico effettuato dal giudice di Appello ha affermato che la fruizione del permesso orario, essendo volto a soddisfare un’esigenza personale, quella di rientrare nell’abitazione per il pranzo, non può essere ricondotta nell’ambito della “occasione di lavoro”, requisito che costituisce il presupposto indispensabile ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere.
Secondo la Corte, infatti, il limite della copertura assicurativa da parte dell’INAIL è costituito esclusivamente dal “rischio elettivo”, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento.
Pertanto, il giudice di legittimità, avendo riconosciuto che, nel caso di specie, la fruizione del permesso per ritornare presso la propria abitazione non potrebbe giustificarsi in altro modo che con l’esigenza di soddisfare esigenze meramente personali, non connesse affatto con l’attività lavorativa, configurando il comportamento tenuto dallo stesso in termini di rischio elettivo, ha escluso l’indennizzo da parte dell’INAIL per l’infortunio occorso.

Compravendita: se l’immobile è pignorato risarcisce l’agenzia

 

 

Corte di cassazione – Sezione II civile – 19 settembre 2011 n. 19095

Con una sentenza – quasi storica – “passata in sordina” la Corte di Cassazione ha detto stop agli agenti immobiliari “faciloni” che si lasciano andare a comunicazioni di cui non sono certi o che non hanno verificato personalmente. Durante lo svolgimento della mediazione, infatti, l’agente deve muoversi seguendo l’ordinaria diligenza richiesta al professionista. E se non lo fa rischia una condanna per truffa e anche di dover risarcire la parte lesa. La Corte , con la sentenza 19095/2011, ha infatti confermato la condanna inflitta dalla Corte di Appello di Bari ad una agenzia locale per aver fatto sottoscrivere un contratto preliminare di acquisto di un fondo rustico – con relativo anticipo e pagamento della commissione – senza però aver informato l’acquirente che sull’immobile gravava una ipoteca giudiziale.

Il mediatore, pertanto, risponde delle informazioni che fornisce!

Per la Suprema Corte, che ha condiviso l’argomentazione dei giudici dell’Appello, se è vero che il mediatore non è tenuto a svolgere indagini di natura tecnico giuridica, “come l’accertamento della libertà dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le visure catastali e ipotecarie”, tuttavia “è comunque tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale”. Non solo, la Corte entrando nello specifico ha anche chiarito che ciò “comprende, in positivo, l’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, e, in negativo, il divieto di fornire informazioni su circostanze che non abbia controllato”.
Non basta, quindi, la dichiarazione della venditrice.

E’ stato proprio questo elemento che ha sancito la responsabilità dell’agente il quale, come risulta anche dal connesso procedimento penale arrivato a sentenza definitiva, “aveva assicurato la promissaria acquirente che l’immobile fosse libero da pesi, basandosi su dichiarazioni rese per iscritto dalla venditrice”.